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— Io vi aspettava, disse il gesuita.

Questa parola dette a Bambina la coscienza di sè stessa. Un nuovo accesso di lagrime la prese, il singhiozzo la soffocò. Il gesuita provò di consolarla e, parola per parola, frase per frase, le carpì il racconto della lettera di Don Domenico Taffa, del commento del barone Sanza, della sclamazione desolata e terribile di suo fratello, del ritrovo domandato e non ottenuto del giovane conterraneo a cui essa desiderava indirizzarsi per un consiglio.

Il gesuita intravvide un innamorato nel barone di Sanza, e quindi un terribile ostacolo a demolire.

Il colloquio fu tempestoso, quantunque Bambina distratta ed affannata non rispondesse che per monosillabi. Il padre Piombini, esaltandosi per gradi, obbliandosi, cieco, inconsciente quasi, fece in fine esplosione:

— Io ti amo! disse egli con voce strangolata. Sei tu contenta adesso che mi hai strappata questa terribile parola? Perchè sei tu ritornata? Io godeva della pace da parecchi anni. Io credeva che il mio cuore fosse disseccato. Tu vi hai messo tutte le fiamme dell’inferno. Io non sono stato sempre gesuita. Io era il conte Bonvisi. Io fui marito di una donna amata. Io fui alla corte di Vienna ambasciatore del duca di Modena. Io era ricco di un milione.... Io aveva gittato tutto ciò in una tomba. Tutto ciò può risuscitare. Vuoi tu essere mia? Vuoi tu avere pietà di me?

Bambina si alzò e si slanciò fuori la chiesa