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— Si, ecco lì. Io gliel’ho detto. Cosa importa a noi, a noi, la splendida bellezza della figlioccia? Tanto più, che, a quanto sembra, il P. Piombini, confessore della bella madonnina si mette in uzzolo di correr la gualdana. Noi abbiamo, noi, la nostra grassa Lusetta. Laus Deo! Quella roba lì si tocca, almeno; la si palpa, la mangia, cospetta, beve, strepita, conta gli scudi, ci cerca taccoli per darci poscia i gaudi del raccomodamento. La ha della schiena, delle groppe, della ciccia, l’alito forte, le braccia tarchiate e.... il resto.

— Birbo, brigante! Ringrazia Dio che stamane io mi senta di buono umore! senza ciò, ti raccomanderei mo’ mo’ al marchese di Sora e ti farei rimpedulare il cervello nel bagno come liberale.

— Io dimando mille volte perdono a V. E. Rev.ma. Io non aveva alcuno intendimento di spiacervi. Gli era un paragone involontario con quella tosa di diciotto anni, svelta come una colonna gotica, bianca e diafana come il vapore dell’alba, l’occhio languido dell’amore che si risveglia, la bocca di rose che scoppietta baci, una Venere sotto la pelle d’un cherubino, che dà la vertigine dell’amore anche..... ad un capo di ripartimento!

— Ti veggo venire, il mio libertino. E poi?

— Ma, ecco tutto. Io sono troppo, troppo povero per appropriarmi quel diamante incomparabile. Codesto non può ornare che una corona, una tiara o una mitra.

— Avresti meglio fatto a cominciar dalla mitra, giacchè suo fratello vuole esser vescovo.

— Ma e’ non l’è mica ancora, poichè non ha i