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ad Aram. Voi avete dunque dormito al convento la notte scorsa, monsignore?

— Non me ne parlate! Sì, ho dormito al convento.

— Comprendo codesta predilezione, monsignore; vi siete più tranquillo.

— La peste s’abbia la tranquillità! Le campane, il mattutino, i canti, la gente che gironza pei corridoi, che cospetta, che tossisce, che brontola, a mezzo addormita, gli sciocchi che sbagliano la porta, gli ubbriachi che piagnucolano sui rigori dei mariti, i gatti che danno dei cattivi esempi, la puzza del refettorio.... Laus deo! amo meglio altra cosa. Infine, perchè sei tu andato fino al convento?

— Ah! ecco. Si tratta, monsignore, del successore del vescovo di Teramo che ha avuto il buon senso di morire.

— Ebbene, codesto successore si presenta egli?

— Io ho dissotterrato una perla, monsignore. Un sant’Agostino, là!

— E tu chiami ciò una perla, imbecille? Gli era già ben troppo che avessimo dei vescovi birri. Darcene dei santi e dei dotti, adesso? Triplice idiota!

— Prego V. E. Rev.ma di permettermi di spiegarmi.

— Spiega, spiega. Se tu sapessi che bisogna mi danno quei galuppi nel ripartimento dell’anima del mio penitente! Corrispondono con lui direttamente e gli propongono i casi di coscienza dei sudditi assolutamente come se il re fosse il papa,