Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/136

ceva il ménage della coscienza reale con magnanimità: egli metteva il re sempre a suo comodo con Dio. Ferdinando II non domandava altro. Conosceva egli la pratica del suo confessore con Lusetta? Io penso che sì; ma «passatemi la sena ed io vi passo il rabbarbaro.»

Mons. Cocle terminava il suo asciolvere quando il suo amico ed associato Don Domenico Taffa fu introdotto da lui. Erano della medesima provincia e terra, si conoscevano dacchè il vescovo non era che semplice novizio, ed il capo di dipartimento un povero soprannumero con cinquanta lire l’anno per tutto soldo. Don Domenico piegò il ginocchio innanzi al vescovo e gli baciò la mano. Si principiava sempre così.

— Pigli caffè, don Dumi! domandò monsignore levandosi da tavola ed entrando nel salone.

— Ringrazio V. Ecc. Rev.ma. Ho preso or ora un cioccolatte abbominevole che mi strangola ancora. Il mondo va a tutti i diavoli. Oggidì, non è più possibile di essere ben servito che al monistero.

— L’è naturale, mio Dio, poichè codesti infami liberali proclamano i diritti dell’uomo! Se si avvisassero un giorno di proclamare altresì i diritti del monaco, buona notte! noi saremmo così mal serviti come i borghesi.

— Ciò arriverà, voi lo vedrete. Al passo con cui andiamo?... Ei parlan perfino del diritto al lavoro! Trono di Dio! il lavoro? Se domandassero almanco il diritto di non lavorare!... A proposito di non lavorare, io arrivo da San Pasquale