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parecchie particolarità rilevanti di tutti quei colloqui. Il barone si mostrò più freddo e riservato che mai, si limitò a constatare che Don Lelio era stato a parlargli. La conversazione si spegneva, allorchè il campanello della porta suonò vivamente. Don Diego andò ad aprire. Era l’uomo alla livrea di Don Domenica Taffa che portava una lettera del suo padrone.

— Bisogna una risposta?

— Non so zzi pré. Vedete.

Don Diego rientrò nel salone ove era il lume, lesse e restò come stupido. Bambina e Tiberio lo guardavano con curiosità. Don Diego rilesse la lettera, poi rovistò precipitosamente nelle sue tasche, ne cavò qualche monete bianche, e dandole al lacchè disse:

— Di’ al tuo padrone che gli porterò la risposta io stesso.

Cosa era quella lettera? che diceva essa?

Ritorniamo su i nostri passi.

Con suprema stupefazione di Antoniella, — la vispa governante di Don Domenico Taffa, — questi, di ritorno dalla sua visita a Don Diego, invece di coricarsi a mezza notte e dormire come un priore, secondo il consueto, aveva passeggiato nell’appartamento fino alle due del mattino ed aveva passato una notte insonne molto agitata, scattando dei monosillabi diretti a tutti i mobili. Levandosi alle sette all’indomani, si era tagliuzzato radendosi, aveva trovato Antoniella noiosa e seccante, il cioccolatte troppo denso, la camicia male amidata, gli stivali poco lucidi, aveva man-