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l’altra biancheria della famiglia. Ad un lato del camino, bilicava su tre banche attortigliate un guindolo festonato di matasse a mettere in gomitolo. Dall’altro lato, sopra una tavoletta conficcata nel muro, giacevano un breviario ingrassato e affumicato, e vari volumi, meglio appropriati: Hegel, Machiavello, Orazio, Omero in greco, Goethe, Victor Hugo, il Don Giovanni di Byron, i Conti di Hoffmann, Rabelais....

La porta sulla strada era chiusa; quella sul giardino, aperta. Di dentro, nessuno. I due abitanti della casa erano nel giardino. La porta del giardino, a vetri e cancello in su, rischiarava la sala. Una piccola finestra si apriva sul verziere, a mezza vita, ed inondava di luce il focolare.

La mediocrità al coperto dello stretto bisogno, la parsimonia coraggiosa, l’attenzione febbrile di nasconderla agli sguardi mordaci della gente della provincia, la quale addiziona le patate che mangiate, i bicchieri di vino che bevete, le lenzuola e le camice che possedete... ecco la fisonomia generale dell’abituro. Un osservatore perspicace non avrebbe guarentito che colà vi fosse dell’ordine, — il padre della ricchezza; — ma egli avrebbe constatato un sistema di vita dalle abitudini monastiche, quel tutto a posto, che talvolta è quel disordine in cui i monomani sanno rinvenirsi. L’indifferenza alle comodità traspirava da tutti i dettagli — dalle sedie in legno e del vasellame smussato, dal fumo che si librava constantemente nell’appartamento, dalle fessure delle finestre che fischiavano, dalle fanfare del vento, dai vetri rotti, dal suolo