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fu inutile. Nel giorno della prova la demoralizzazione del soldato si smascherò; la ferocia, la rapina prevalse su i sentimenti più nobili. Intanto la decadenza del ministero pronunziata, ad alta voce, quale espressione dei voti comuni, si disegnò ministro Aurelio Saliceti. Quest’uomo di carattere fiero, leale, disinteressato, era stato alcuni giorni al ministero, ed aveva contrassegnato il suo passaggio con proporre misure energiche ed opportune. Saliceti aveva compresa la risoluzione e voleva ad ogni costo incarnarla. Egli voleva rimondata la macchina governativa da ogni sozzura del vecchio reggimento: voleva l’espressione pura e sincera del nuovo. Il re si era spaventato di lui e lo chiamava il Robespierre di Napoli. Perciò, profittando di un giorno in cui la febbre lo riteneva a casa, lo dimise dal suo posto. Il popolo lo ridomandava perchè in lui solo credeva, perchè la sua anima non si ammolliva alle reali seduzioni per traviare la pubblica coscienza. Il re fu inesorabile. E tanto più inesorabile in quanto che, avendo fatto interrogare Saliceti, questi propose per suo programma: convocazione di un’assemblea costituente per suffragio universale doppio: riorganizzazione dell’armata: riforma compiuta dei funzionarii pubblici; sussidii alla guerra di Lombardia, e negoziato attivo per l’unione d’Italia. Erano questi i voti del paese. Ma il re rispose che avrebbe innanzi abdicato, avrebbe innanzi tentate le sorti della guerra civile che cedere. Al pensiero della lotta che andavasi ad impegnare vi fu un momento di scoraggiamento, ma questo dileguatosi, con attività e virilità il popolo si apparecchiava già a rispondere alla sfida, ed organizzava la novella rivolta. Esso confidava in sè, confidava nelle provincie e nella