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avevano nè radice nè simpatia esteriore: non significavano nulla, non un’idea politica, non un centro di azione, non un mezzo di forza, nemmeno un principio d’iniziativa, nemmeno un colore o una forma. Ciascuno agiva per sè e per una ristretta sfera, e plaudiva ad ambizioni immerite e sterili. Il paese quindi abbandonato a sè, senza leggi e senza direzione, andava, senza saper dove, commovendosi ad ogni si dice, palpitando ad ogni novella. Il governo che di proposito deliberato tradiva la nazione, la lasciava in sua balia, sperando in nuove commozioni o nel disgusto che inevitabilmente doveva produrre quello stato di sfacelo in un popolo assuefatto alla più dura organizzazione governativa. Ed invano gli spiriti chiaroveggenti gridavano: "Animate, per dio, questo corpo che si scioglie in rovina, ovvero abbandonate il governale dello Stato e penseremo noi a ravvivarlo". Oibò! il re inviava le commissioni a Bozzelli e colleghi; e questi affannati, offuscati, imbrogliati, si dibattevano a crear nuovi impieghi per provvedere agli appetiti ed alle esigenze di quei miserabili che si asserivano liberali per mangiarsi il tesoro dello Stato; ed adducevano che le faccende di Sicilia occupavano intero il loro tempo. Si sperò nel ministero ricomposto del 1° marzo: ma l’anima essendone la stessa, Francesco Paolo Bozzelli, l’inerzia medesima e la medesima nullità si sperimentò. E forse si sarebbe ricorso a non so quali estremi per uscire da quella stalla di Augia, se le novelle di Francia non arrivavano opportune. La rivoluzione di Francia fu come un raggio di luce che rischiarò tutte le menti. La rivoluzione del 1848 non aveva avuta ancora la sua consacrazione: non aveva ancora alcun significato. La repub-