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ributtante traspariva da quello sguardo canuto il quale indiscretamente rivelava un’anima cadavere. Egli aveva a sopportare un peso di delitti più grave di quello che una natura umana può sopportare: aveva a render conto alla civiltà ed all’umanità delle scelleratezze sue e di quelle del suo padrone. E sì che il suo padrone, re Ferdinando, può vantarsi che innanzi a lui giammai sopra una testa di uomo si erano cumulate più ingiurie e più maledizioni! Montpellier infine accolse questo essere immondo che vi arrivò sott’altro nome. E così politicamente terminava una vita di delitti; tale degno compenso ottenevano trenta anni di opere la cui atrocità ed arbitrio non ebbero confine. Aveva governato come Verre, attorniato da scherani, da concussionarii, da adulatori e da carnefici; era cacciato come un servitore infedele. E quest’uomo ha osato conservarsi in vita ed è ritornato a respirare l’aura di Napoli! Miserabile! Il consiglio familiare del re fu protratto fino alle ore più tarde della notte. - All’indomani un altro uomo si presentava alla corte, ma neppur esso veniva ricevuto. Quest’uomo era l’arcivescovo di Patrasso, Celestino Cocle, confessore di re Ferdinando. Una lettera di lui a Delcarretto era stata presentata al re. Questi due ribaldi si intendevano a maraviglia per condurre il carro dello Stato, e avviluppare il tristo principe che loro si abbandonava. Ladro, abietto, vigliacco, compendiava in sé quanto vi ha di più brutto in una creatura umana decaduta: era frate e servitore ad un tempo. La sua passione era l’orgia la più triviale; era l’oro; era vendere in dettaglio il suo penitente, come Gizzi vendeva i miracoli; era vederselo umiliato ai piedi, scandagliarne