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tenergli il passo. Allora il general Filangieri uscì e con sorriso freddo ed ironico gli disse: voi non siete più ministro. Esterrefatto, ma incredulo ancora, Delcarretto osò profferire altere parole: ma, al piglio severo e fermo del generale, quella paura che altrui aveva per sì lungo tempo ispirata penetrò nel suo cuore; e cangiando di un tratto linguaggio, implorò per favore vedere ancora una volta il suo adorato sovrano, avendo gravi cose a comunicargli. Filangieri gustò un pezzo, sorbì, diciam così, a sorsi l’umiliazione di quell’uomo, un istante prima sì superbo e sì terribile, poi con un ghigno mefistofelico soggiunse: in questo momento il commissario Silvestri mette i suggelli alle vostre carte, a casa vostra: a voi è stata accordata un’ora di tempo per uscire dal regno; profittatene e scrivete alla vostra famiglia. Nuove scuse, nuove preghiere, nuovi avvilimenti, nuovi scoppii di sdegno impotente; ma l’ora passata, toccati ducati duemila, ultima paga d’infami servigi renduti ad un principe infame, ultimo prezzo del sangue del Cilento, di Sicilia, di Calabria, accompagnato sino ai confini, uscì dal paese e prese la volta di Francia. Civitavecchia lo respinse: Livorno innalzò sul lido un patibolo annunziandogli aver preparato gli appartamenti se volesse discendere: Genova gli impedì di prender terra per non esser contaminata dalla sua presenza: Marsiglia lo insultò e lo coprì di esecrazione e di fango. Il suo viaggio era stato una gogna in permanenza. Il Caino della civiltà non trovava chi volesse accordargli un asilo. Come sulla faccia del Valentino, il sangue prodigalmente versato macchiava quel sembiante, che i cosmetici femminei, la biacca ed il cinabro da bardassa rendevano ancora più truce. Qualche cosa di