Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/62

trapelare il suo voto, sciolse il consiglio. Indi si ritirò col marchese di Pietracatella, col cavaliere Fortunato e qualche altro suo fedel servitore, e cominciarono a deliberare. Qualche ora dopo un messo andava ad annunziare al marchese Delcarretto che era novellamente desiderato dal re.


* *


16. Questi si era ritirato in sua casa con l’anima oppressa dal dubbio e dilacerato dalla rabbia. Il re non gli aveva rivolta neppur una parola, neppure uno sguardo: aveva ascoltato freddamente le disperate misure che egli divisava di prendere. Si credette perduto: solo non sapeva fino a quali estremi la sua disgrazia sarebbesi spinta. Egli non vedeva oramai che due strade di salute; o vendere il re al popolo, distruggendolo, e mettendo a compimento i suoi delirii di seguir le tracce di Bonaparte, facendosi anch’egli dichiarar primo console, ovvero con le crudeltà sue consuete e con i mezzi più disperati, gettarsi sul partito liberale per percuoterlo ed annullarlo, facendo valere di guarentigia le tirannie nuove alla fedeltà attiepidita. Ed all’uopo aveva già mandato a chiamare i suoi sgherri senza anima, Morbillo e Campobasso; già preparava per la gendarmeria gli ordini più arrischiati e furibondi, onde dare addosso a tutta una città. Il messo del re lo rassicurò. Non pertanto fece prima scomparire buon numero di carte, altre ne mise in ordine, poi si rese alla corte: arrivato alle sale domandò del re. Gli fu risposto, sedere in consiglio. Si avanzò per entrare; ma il ciamberlano glielo impedì. Avvampando di sdegno stese la mano sull’uomo che gl’impediva di varcar la soglia, protestando con voce grossa ed irata, che come ministro aveva diritto di entrare e che niuno poteva