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dovunque, giunsero a Napoli. Era quello il tempo per la seconda volta di dare addosso ai Borboni e disinfettarne il paese: ma il Comitato che nulla aveva preparato, determinò provare ancora una manifestazione. A tanta fiacca balordaggine, era inevitabile che il governo non avesse infine compreso, restargli ancora un residuo di forza, potere ancor far valere un sovvenire dell’antico prestigio. Ma la Provvidenza volle salvarci. Il Comitato aveva domandata una manifestazione pacifica: gli uomini più decisi si ammutinarono e risolsero che sarebbero venuti fuori armati per resistere e vender cara la vita, se il governo li avesse attaccati. Il Comitato contromandò l’ordine della manifestazione: ma il De Simone, che veniva a significarlo, giunse troppo tardi. La gioventù lo respinse indignata, e tenne fermo. Quanto si potesse ottenere, per rassicurare il terrore del Comitato, fu che non si sarebbero adoperati i fucili, i quali per vero erano in assai piccolo numero. — La mattina del 27 gennaio quindi, verso le dieci del mattino, preceduti da bandiera tricolore e la coccarda tricolore sul petto, al grido di viva Pio IX, viva l’Italia, e viva la Costituzione, la manifestazione procedè dalla piazza della Carità, mentre altri gruppi di giovani fregiati dello stesso nastro venivan giù dalla strada degli Studii. Quel grido di viva la Costituzione fu un grido magico. Le guardie di sicurezza, parodia di guardia nazionale, lasciarono libero il passo alla processione trionfante. I balconi si coprivano quasi per incanto di una folla infinita di donne e di uomini. Le donne sventolarono le pezzuole e replicarono il grido; gli uomini discesero sulla strada per ingrossare le turbe. L’entusiasmo,