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e l’ignoranza, assegnate come stato normale alla nazione, era la condizione prospera aggradevole al governo. La fame senza misura sulla scala delle sventure di quel popolo assorbiva qualunque altra forma dello spirito. Che mangiare domani? ecco il pensiero fisso ed inesorabile di otto decimi della nazione. Perciò uno scoraggiamento universale, un abbattimento disperato. Perciò lo squallore dei campi, la demoralizzazione, il languore, l’odio delle parti, il sospetto, l’ignoranza per sottrarsi a qualunque animadversione del potere, la rassegnazione violenta, la mestizia, l’incertezza terribile dell’avvenire, l’egoismo, la crudeltà, l’ateismo o la superstizione, l’aridità del cuore su tutte le sciagure, l’ipocrisia, l’avidità febbrile dei guadagni, l’assenza di ogni moralità sociale, l’aborrimento incommensurabile a qualunque manifestazione di governo, l’ansietà di cangiare, lo scetticismo di tutti i principii, quello stato mortale infine di una società che posa sulla negazione ed è vicina a dissolversi, quel periodo violento di un popolo che si sente avvelenato, si sente morire e non lo vorrebbe, si sente trascinato dalla vertigine e vorrebbe resistere, si sente attratto da una voragine e si afferra ai lembi dell’abisso, vede il suo corpo cadere a brani a brani ed ha l’anima forte, viva, direi quasi vergine nell’orgia satannica che l’attornia e la contamina, che quasi suo malgrado ha l’istinto dell’avvenire, della civiltà, della vita, della libertà, che malgrado le rovine d’onde è circondato sente il principio della resurrezione sociale vicino, sente spirare un soffio animatore attivo, potente, consolatore, che si sente schiavo, ma schiavo come Spartaco, si sente corrotto, ma corrotto come Seneca. In una parola, come l’