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o irriverenti cui bisognava cancellare dal patrimonio della lingua, taluni nomi mettere al bando della civiltà e della memoria della storia. La lingua doveva veramente servire a nascondere le proprie idee come voleva Talleyrand. Il titolo di moralità e di merito consisteva in un certificato del confessore. Chi si sottometteva alla trista e stupida direzione dei preti era solamente buon cittadino, o meglio buon suddito. Le cariche, gli onori appartenevano in retaggio esclusivo a chi aveva prostituito il suo onore, la sua coscienza, e la sua famiglia a qualche ministro o a qualche vescovo e confessore, ovvero aveva molti danari per tutto dominare e comperare. La differenza del prezzo e della bellezza, la facilità della prostituzione, l’eccesso dell’ignoranza, e la bassezza del servire erano il termometro per occupare le funzioni dello Stato, ed assicurarsi un cantone nell’edifizio dello stato discusso. L’insolenza, il dispotismo, l’arbitrio dominavano in tutta la gerarchia degli uffiziali pubblici. Quando il ministro ed il confessore del re chiamavansi contenti, che importava il resto degli uomini? La spoliazione era la legge organica delle finanze: il mistero, la sua sola condizione di vita. Le leggi fiscali, intollerabili ed inique, assorbivano quasi intera la ricchezza nazionale. La produzione ed i suoi istrumenti, colpiti nella sorgente, venivano ricolpiti nella consumazione. Sopra gli oggetti di prima necessità gravitavano fino a sei dazi differenti. La volontà del re era la sola legge nella percezione e nell’uso dei danari pubblici: il budget discutevasi in segreto tra il ministro e il re. La consulta di Stato, corpo parassita e nullo, non avea voto, e contava due uomini solamente tra’ suoi membri nel caso di comprendere ciò