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loro è stata monotona, è stata una lunga esecuzione nel seno oscuro di un carcere, in cui i testimonii e il giudice erano di troppo. Il regno del figlio non ha cangiato da quello del padre: il domani non ha variato dalla vigilia: la formola intera si è rinchiusa tra una processione ed una sentenza di morte. — Noi quindi non abbiamo molti fatti da raccontare per trovare la radice della rivoluzione del 1848, e scoprire la sorgente di quella solenne protesta, onde leggere nei precedenti l’avvenire. Potremmo partire dal 1830, dal regno di Ferdinando II; ma questo stesso racconto è assai sterile, perchè si concentra nelle meschine dimensioni delle mura di una corte, è la storia di un uomo che non ha neppure i grandi vizii dei re. La vita di quest’uomo, avvelenata alla sorgente da un monsignor Olivieri suo precettore, la vita di quest’uomo si è compendiata in un furto sistematico del tesoro dello Stato, in una confessione quotidiana dei proprii peccati ad un prete, che lo vendeva ad un gendarme e lo volgeva in ridicolo. La vita di quest’uomo si è manifestata in una rivista perpetua di soldati, mostra brillante di forze, che poi si è coronata con la fuga dai campi romani: è scritta ne’ fasti della bigotteria, delle smargiasserie, dell’avarizia, sì che se avesse potuto espropriare il regno intero o farne un fagotto lo avrebbe venduto ai mercanti di Londra: limitato, plebeo in tutto, e fatuo. Sotto l’influenza della paura degli uomini, fomentata da un birro, e della paura delle idee novelle, destata in lui da un monsignore, tirato a rimorchio da entrambi, egli assunse la parte di sbarbicare ogni fecondità della mente, atterrire ogni ardito. Egli volle dare l’impulso alla