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si attacca piuttosto a quella catena morale che chiamasi dovere, anzi che all’artigiano che questa catena ha fabbricata. Gli ufficiali pubblici sono generalmente eccletici, se pure non sono scettici. Essi oppongono piuttosto una specie d’inerzia anzi che una repulsione ostinata a tutto ciò che varia, che cangia, che succede; ed assuefatti all’occaso di taluni soli politici, i quali tramontano spesso tra le tempeste, l’anima loro resta fredda, non prova alcun movimento di simpatia né per chi parte né per chi arriva; basta che la disciplina non sia severa, il lavoro soverchio ed il soldo sia puntuale. Gente senza convinzione e senza affetto, hanno sempre pronto un Te-deum a cantare, si mettono subito senza rimorso e senza cura sotto lo stendardo di colui a cui la vittoria è restata. Essi non odiano che l’uomo onesto, il quale loro vieti di fare un piccolo commercio delle proprie funzioni e di cavare un soprassoldo da spendere alla taverna. Il soldato poi ha per istinto di obbedire a tutto quanto gli è immediatamente al di sopra, di opprimere tutto quanto gli cede: l’istinto del paesano adulterato dalla disciplina, traviato dalla civiltà! Esso non ha alcuna coscienza della sua parte sociale: non ha alcuno stimolo che determini la sua condotta. Sa di essere soldato e non dimanda più in là: si vieta anzi di fargliene sapere di vantaggio. Innanzi ai suoi occhi non posa che un’immagine, il re. E questa immagine egli l’abomina come un ostacolo che lo attraversa, perché a fronte a lui vede il villaggio nativo che ha dovuto abbandonare, vede la donna che ama cui ha dovuto sacrificare, e la severa disciplina che lo crocifigge senza posa. Se egli potesse passar per sopra a quest’idolo, senza paura del consiglio di guerra, non esiterebbe