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ne vede uno improprio ad ogni arte gentile, destituito di ogni facoltà brillante e generosa, lo incardina alla chiesa, per poi destinarlo alla sorveglianza dei campi ed al maneggio dell’azienda domestica. Maltrattati da una natura madrigna, avviliti dal disgusto generale, conscii della propria difformità morale, come Riccardo III della sua bruttezza, educati a quella specie d’inferiorità sociale in cui debbono tenersi, questi proseliti di Cristo entrano nei seminari per istruirsi. Odiando la società che li scaccia, posti in istato di guerra col mondo che li confina in una sfera di privazioni, di martirii, di disgusti e di violenze, e loro vieta qualunque sfogo di passione, questi giovani disgraziati si trovano di fronte ad altri cui l’ipocrisia ha corrotti già o l’astinenza resi fanatici e crudeli. Il volo delle loro intelligenze è tarpato e conficcato come Prometeo sopra lo squallido scoglio delle dottrine ascetiche. Essi cominciano dal rinunziare al più prezioso dei doni di Dio, la ragione, onde tuffarsi interi in una fede illogica e mostruosa. Cominciano dal rinunziare ad ogni volontà, ad ogni libertà, per essere manodotti come macchine sopra la strada dell’obbedienza passiva e della rassegnazione stupida, che la chiesa ha sostituito dove prima era la carità, ed ha chiamato via del cielo. Tutto quanto vi era di nobile nell’uomo è colpito di anatema: ogni attività della vita è proscritta. Pel prete non vi è altro che l’autorità: autorità di altrui nelle scienze, autorità di altrui nello sviluppo delle passioni, autorità di altrui nella condotta sociale, autorità di altrui fino in quell’elevazione a Dio, in cui l’anima tormentata dallo spasimo apre libere le ali e trova solo refrigerio e perseveranza. L’uomo non basta più a se stesso, non è più