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Ne gioì, perchè nulla più tristo credeva potesse aspettarsi dai nuovi venuti, nulla di più dispotico di ciò che gli avevano imposto i ministri scacciati. Ne gioì, perchè il popolo, al dire di Tacito, crede vedere un simulacro di libertà nel cangiamento dei despoti. Il nuovo ministero si fece bentosto sentire. E forse dico male il ministero, perchè gli uomini che lo componevano sono dei parassiti i quali si contentano godere del pingue soldo e nulla fare. Come quei favoriti dei principi che designavansi a subire le percosse, dagli istitutori ai principi destinate, questi uomini erano stati scelti per portare innanzi agli occhi del pubblico tutto il peso dell’esecrazione e della maledizione del popolo. In sua vece governava la camarilla, o il consiglio aulico, composto del Turchiarola, del San Cesareo, dell’Ascoli, del Bisignano, del Filangieri ed altro simile pattume di corte. Strumenti implacabili e ciechi di costoro sono un Navarra che vantasi aver segnate tremila condanne di morte, nel non lungo periodo delle sue funzioni di magistrato; un Peccheneda, reliquia di polizia, che afferma arrestare di propria mano suo padre, se qual liberale lo sospettasse; un Landi che trovava Delcarretto democratico ed umano; un Angelillo che crede aver perduta la giornata in cui non invia qualcuno al supplizio; un Longobardi il cui nome è tutta un’infamia, e non puossi pronunziare senza un fremito involontario di raccapriccio, di terrore, di schifo; un Busacca, uno Statella, un Nunziante, un Vial e non so quanti altri che hanno da tempo molto rinunziato a qualunque rispetto di pubblico pudore. Sotto la pressione di tale genia il ministero opera o convalida le