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demoralizzati, ed inoculato in noi la tentazione codarda del veleno e del pugnale; quel potere che aveva inaridito nell’anima il sentimento della religione, ed innalzato l’altare alla perfidia e alla cupidità (fatto vi avete Iddio d’oro e d’argento); quel potere maledetto da Dante sul terreno dell’esilio, e sul rogo dal Savonarola; quel potere non era più. Dal grande sepolcro di Roma la parola di vita era sorta, e dalla cima del Campidoglio si era propagata sulla terra. Roma riassumeva l’iniziativa della nuova civiltà italiana, e per la seconda volta rivelava all’universo l’Italia. L’Italia non era morta. In quell’adorno ciborio chiudevasi l’ostia della grande civiltà che principierà pel mondo cattolico, quando il potere malefico e soporifero del papato sarà neutralizzato compiutamente. La novella della repubblica romana fece trasalire l’Italia: lo spirito della rivoluzione era rivelato. Napoli sopra tutto accolse la nuova con un fremito di gioia; Gaeta come un colpo di fulmine. Pio IX ebbe la debolezza di protestare. Protestare contro di che? contro il suffragio universale? contro quel potere del quale nei primi secoli della Chiesa i suoi predecessori domandavano l’esistenza; contro quel potere che niuno aveva osato ancora credere o dire prescritto. Pio IX protestò; ma se la sua protesta ha potuto chiamare quattro armate a strangolare il più nobile popolo d’Italia, non ha potuto cancellare la sentenza. La sentenza, che Dante scriveva son cinque secoli, e tanti martiri del pensiero consacravano, aspettava sotto lo sguardo di Dio l’omologazione dei popoli, ed i popoli l’hanno omologata: la sentenza passata per le epoche dell’entusiasmo e del martirio, subita la prova della