Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/183

partito della rivoluzione. La plebe non aveva ancora capito chiaro che cosa avesse voluto esprimere quella sollevazione del 1848. Tutti i partiti erano concorsi a forviarla, i liberali non esclusi. I preti sopra tutto l’avevano imbevuta del principio che i rivoluzionarii volevano uccidere il santo re, rovesciare la religione, trucidare i sacerdoti di Dio come avevano cacciato i gesuiti, rubare il pingue tesoro di San Gennaro, e far di loro un’ecatombe, sapendoli devoti al re ed alla Madonna del Carmine. I liberali quindi erano guardati in cagnesco, e considerati come briganti e come atei. L’abbiezione in cui la plebe era stata tenuta mai sempre faceva considerare qualunque proprietario, e direi quasi qualunque uomo che portava scarpe ed abito, come un aristocratico. Essa se ne credeva separata da un abisso, e gli si avvicinava sempre con una specie di devozione servile nell’apparenza, con odio implacabile nel cuore. Quando però vide che dal grembo degli esseri più favoriti della nazione essa non era esclusa, che era considerata ancora come eguale, che poteva seder tra le alte classi ed aver voto, un cataclisma successe nel suo spirito. La rivoluzione non fu più un logogrifo per essa. La rivoluzione significava che essa aveva cessato di esser paria nella società: che un avvenire schiudevasi ancora per essa: che poteva aspirare ad uscire dai triboli della sua esistenza attuale: che più non era obbietto da destare ribrezzo e disgusto: che a fianco ai doveri, che fino allora le si erano assegnati esclusivamente, a fianco ai doveri aveva ancora dei dritti, ed una forza per farli valere, una voce per protestare. La rivoluzione significava che essa era sovrana, che, angelo decaduto fino allora, riacquistava la luce e la