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vincolo sociale, ma un istinto. Dall’intimo dell’anima sua soffia mai sempre qualche cosa che lo guida, che lo solleva, che mette in contrasto perenne l’oltraggio sociale, che lo ha gittato per terra, con l’opera di Dio che in lui si offre luminosa, sia nella solennità della sua rassegnazione, sia nella sobrietà dei suoi bisogni, sia nella severità dei suoi affetti. Inchiodato alla terra da una provvidenza umana inesorabile, il paesano s’identifica in certo modo con la natura del suolo che abita, ed una reciprocità di emanazione si stabilisce tra loro: perciò preferisce la vita dei campi. La terra feconda, il cielo aperto, lo spazio, l’aria, la luce, la manifestazione infinita della natura libera lo attiva, lo assorbe; e si contenta della sofferenza per isfuggire lo strazio — la città. Per lui la città, prodotto sociale, è un’espiazione. Per lui la casa, necessità cittadina, è un dolore; è il testimonio eloquente dell’ingiustizia degli uomini e della forza del dominio, è una tomba in cui saggia tutte le privazioni, sente tutte le miserie, trova tutti i supplizi; e più che una tomba è una prigione, obbligato a subire tutti i giorni festivi. In effetti, che vi ha di più tristo e di più squallido della sua casa? la stessa luce, patrimonio universale, vi è proscritta: la stessa aria che pura e senza misura Iddio ha messa a disposizione delle creature, è un veleno: la pioggia ve lo inonda: il fumo ve lo soffoga: la lordura ve lo fa avvizzire: ve lo divorano gl’insetti. Inoltre egli abomina la città. Per lui la città è il creditore che lo rode, che succhia il suo sangue: è l’esattore delle imposte che profitta solo del sudore della sua fronte: è il birro che lo tormenta, il magistrato che lo condanna, il gendarme che lo imprigiona, il ricco che gli prostituisce