Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/17


— 11 —

zia dell’universo. La società ne sente il soffio e trascura investigarne l’asilo. — Il governo di Napoli credeva avere abbrutita la plebe con la pressione della miseria, con la religione della polizia: lusingavasi che l’ignoranza ne avesse spento ogni lume, represso ogni elatere. Ma la possibilità di ricuperare diritti, con una specie di mistero custoditi nel fondo del cuore e da generazione in generazione trasmessi, si offrì; la parola di Libertà rimbombò nell’orizzonte, ed il governo vide che ella surse repente, repente gittò il mantello di piombo, il quale a guisa dei dannati di Dante la soffocava, ed assunse le nuove forme con la facile spontaneità di chi ricomincia un’esistenza anteriore interrotta. Alla verginità del pensiero essa riunisce l’energia e la solennità di affetti non ancora violati e lordi. Una religione istintiva le si fa giorno sotto le squame della religione corrotta della Chiesa. Al di là del Cristo, che serve d’intermedio, e che per lei non ha alcuna espressione, non risveglia nel cuore altra corda tranne quella della pietà; al di là del Cristo vede Iddio simboleggiato nella grandezza imponente della creazione che la circonda, e forse, al di sopra anche di Dio, al di sopra di tutte le credenze, l’ispirazione la più poetica del cristianesimo, Maria. Nell’aspirazione verso il cielo il paesano ha sempre qualche cosa di primitivo e di calmo, una sensazione malinconica e voluttuosa. Come le intelligenze adulterate, egli non vede Iddio in una notte tempestosa sul mare, nell’uragano che atterrisce e percuote; egli lo riconosce nelle espansioni di una danza, in una raccolta ubertosa, in una nottata di amore. Egli sposa l’utilità della creazione con lo sfoggio armonioso della sua poesia. Le idee morali non sono per lui un