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oggi tutti o raminghi per terre straniere o sepolti in mude mortali. Che era mancato ai rivoluzionarii calabresi? era mancato l’accordo, l’unisono, era mancato il genio della rivoluzione. E forse il difetto non fu interamente loro, ma dei tempi: era la rachiasi del movimento europeo del 1848, che non venne alla luce con le condizioni necessarie per esser vitale. Grazie a Dio, ci siam compresi oramai, ci siam conosciuti. Il senso chiaro, la formola netta della rivoluzione del 1848 doveva essere quella di colpire sulla fronte la autorità in tutte le sue regioni, sotto tutte le sue forme. Col primo vagito essa pronunziò la parola transazione, credendosi assai forte. Il cuore la tradì. I nostri nemici più avveduti di noi, più rivoluzionarii, non hanno transatto. Hanno cospirato, hanno demoralizzati i nostri partigiani, han gittato il contagio nelle nostre file, si sono coalizzati; e la mano che ci hanno porta è stata quella del carnefice, quella di Radetzky, quella di Haynau, quella di Ferdinando di Napoli, quella di Changarnier, quella di Wingischrätz, sepolto oramai prima di morire. Avremo noi coscienza della nostra parte nell’avvenire? ci persuaderemo delle solenni parole che io ho messo alla cima di questo libro, che non vi ha mezzo rivoluzionario, che la libertà deve vincere a qualunque siasi prezzo? Dio lo voglia! Dio c’ispiri.


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38. Dopo il prospero esito del 15 maggio, il re e l’aulico consiglio avrebbero voluto sbarazzarsi affatto di quel fantasma accigliato della Costituzione, che era sempre lì in piedi, rimpetto ad essi come un rimorso. Il ministero eletto non aveva infatti altra significazione. Qualcheduno degli eroi della vittoria aveva domandato pure,