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del domani come ad una festa. Poi gli allarmi incessanti che tenevano desta l’anima sul pendio di ingolfarsi nella contemplazione dei misteri della natura. Poi quella varietà bizzarra di fisonomie forti, angolose, eloquenti; quel dolce mormorio della lingua albanese, che era una rivelazione della non compiuta decadenza di un popolo, il quale aveva conservato ancora ciò che vi ha di più vitale, la favella de’ grandi antenati. Poi quell’eccitazione perenne di novelle, di progetti, di atti di amore alla libertà, di divozione, di subite avvisaglie; e quella vista eloquente di alcuni frati e di alcuni preti, i quali avevan dato l’ultimo bacio al Cristo, il redentore morale, per venire a maneggiare il fucile, il redentore politico. Mauro non aveva torto di esaltarsi, d’inebbriarsi di poesia. Ah! perchè dovemmo svegliarci così bruscamente! Si propose intanto a Mileto istantemente di far guardare Mormanno, perchè di quivi solamente potevasi esser sorpresi da quei di Ducarne, che avevamo di fronte, a tiro di fucile, dall’altra parte del ponte che chiude le gole di Campotenese; Mauro si oppose ostinato, adducendo aversi poco più di mille uomini, per guardare un passo di monti di sole alquante spanne. Si propose di fare una uscita notturna e di sorprendere Ducarne in Rotonda. De Simone assumeva la condotta della sortita, e ne garantiva il successo con i suoi bravi albanesi. Mauro si oppose e temperò la fiacchezza con la prudenza, l’inabilità col dubbio; e gittò su Ricciardi la responsabilità dell’inazione. In effetti le munizioni sovrabbondavano a Cosenza, mancavano al campo. Questo cumulo di pretensioni, d’inezie e di tradimenti produsse il suo frutto e presto. Una notte Eugenio de Riso arriva al campo