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dito poi vilmente, fu messo a pezzi dai regii, ed il suo capo mandato in dono al pio re. Per lo che Mauro, che non comprendeva nulla di militare, si compiaceva a compararsi agli eroi di Omero, e beavasi di dormire sotto il cielo stellato, in fortini che i briganti, a foggia delle costruzioni ciclopiche, avevan quivi innalzati. Ed in vero ho bisogno anch’io d’impormi tutta la severità della storia, per non cedere al sovvenire seducente che mi dipinge i cinque o sei giorni passati in quel campo. Le scene dell'Ivanhoe, le tele di Salvator Rosa, le pagine brucianti di Schiller mi rivenivano alla mente incessanti. La guerra civile scompariva dagli occhi miei in faccia ad un paesaggio sì bello e sì vario. Io credea rammentarmi di una vita anteriore, di una vita in secoli da lungo tempo obliati. Forse era una reminiscenza di Esiodo o della Bibbia, forse nella trasmigrazione dei tempi l’anima mia non si era del tutto spogliata. Chi lo sa? Io era felice di coricare sulla terra nuda, di appoggiare il mio capo ad una pietra, dove pochi anni prima due uomini proscritti dal convito sociale l’avevano poggiata senza potervi dormire. Io era felice di salutare il lento tremular delle stelle con l’ultimo sguardo, con lo sguardo che s’immergeva e si perdeva nelle oscure regioni del sonno. Io mi sentiva al cospetto di Dio: io mi coricava sotto il padiglione gemmato della notte come sotto lo sguardo sorriso di una madre. E qualcuno di quegli uomini, che pochi giorni innanzi ci avrebbero fatto paura o ribrezzo, che forse in un angolo di foresta ci avrebbero detto: la borsa o la vita, che si vedevano separati dal mondo da una zona di sangue; quegli uomini erano a noi vicini, custodivano il nostro riposo, pronti alla morte