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chiava, titubava: perchè conoscevano che tra i Comitati delle tre provincie non vi era comunità d’idee, contemporaneità, intelligenza, operando ciascuno nella sua sfera e da sè: perchè vedevano la provincia stessa di Cosenza, la più pronunziata, divisa in tre campi. Lasciarono fare perchè essi travagliavano di soppiatto a minare il partito rivoluzionario, comprarlo, atterrirlo, lusingarlo, ed in tutti i casi smembrarlo o metterlo sulle uggie: perchè essi aspettavano rinforzi da Napoli, ed i vapori da guerra trafficavano incessanti a portarli: perchè essi speravano profittare di qualcuno degli incidenti impreveduti, di cui i tempi di torbidi civili sono spesso fertili: perchè la storia aveva loro insegnato che la pazienza e la disciplina non sono la virtù delle masse armate; che esse si scoraggiano presto, si demoralizzano nella inazione, si corrucciano per noia; che se esse possono ben sostenere una battaglia e vincerla, non mai uscirono vittoriose da una campagna. Qualcuno consigliò al Comitato di Cosenza, quando i siciliani giunsero colà, intendersela con quelli di Catanzaro ed inviar loro i rinforzi venuti di Sicilia; attaccare senza perdere istante il corpo di Nunziante; riunire quelli di Paola a quelli di Campotenese e piombare addosso sia a Ducarne che teneva Rotonda, sia a Busacca che chiudevasi in Castrovillari; esser meglio morir per apoplessia con una disfatta, che consumarsi come un tisico nell’inazione: una vittoria decidere della rivoluzione. Sacco, mandato dal campo di Monteleone, parlò nei medesimi sensi. Ma niente di tutto questo fu fatto; e la colpa non debbesi tutta attribuire a Ricciardi. Ribotti che conduceva i siciliani era sospettato di equivoche intenzioni. Andando ad