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tutto; e tutto deve piegare innanzi al suo passaggio divoratore, o spezzarsi. Il rivoluzionario, per tacere dei più remoti, è Robespierre, è Napoleone, è Proudhon: questa grande trinità di ardire, di forza e di ragione che ha presa la società nel suo pugno, le ha dato lo slancio, ed ha detto: cammina. Ricciardi si perdette in una burocrazia insignificante: oltraggiò molti amor proprii trinciando da dittatore: confidò troppo in sé: ebbe la debolezza di volere incarnare nella sua persona tutta la rivoluzione, compendiarla dal principe all’usciere. Quindi molta ostinazione dal suo lato, molte gelosie dal lato dei rivoluzionarii calabresi. Il Comitato fu eclissato. Tutte le determinazioni erano prese da lui solamente: niuno era ascoltato: il segreto elevato a sistema. Le cose cominciarono perciò a zoppicare e ben presto intristirono affatto. Reggio non dette segni di vita, il Comitato di Catanzaro lasciò in piedi l’amministrazione regia nel tempo stesso che figurava esso da governo provvisorio; e l’intendente, il comandante della provincia, il procurator generale e gli altri funzionarii del re spionavano le sue operazioni ed al governo di costui comunicavanle. Intanto per tenere in riguardo Nunziante accantonato in Monteleone si mobilizzavano le guardie nazionali, e sotto il comando di Stocco da Nicastro meglio di seimila se ne accampavano tra Maida, Luninga e Filadelfia. E perché Stocco si confessò inabile alle cose di guerra, gli si aggiunse un tal Giovanni Griffo tenente in ritiro e uomo scelleratissimo che poi li tradì. Giovanni Mosciari bravo e speditivo s’installò a Paola per impedire uno sbarco di soldatesca: Mauro si concentrò a Campotenese per gustare del comando e nulla comandare; e