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uno che si sovvenga di loro, che fuori dell’uscio fatale hanno lasciata ogni simpatia ed ogni ricordanza, come forse ci hanno lasciata ogni speme. No: qualunque sia il valore dell’uomo che profferisce la parola di consolazione e che trae dall’oblio nobili atti, io pronunzierò la parola, rivelerò il fondo e le cagioni dei mali, e le scriverò senza collera e senza entusiasmo. Per quanto è possibile, unirò la freddezza del cronista alla passione dell’attore.


1. La nazione napolitana è incognita nella famiglia dei popoli di Europa. I viaggiatori rimuginano sino negli ultimi recessi dei poli, sino nell’ultima oasis del Sahara, ricercano le sorgenti dei fiumi, salgono i culmini delle montagne, e trascurano rivolgere uno sguardo ad una terra sulla quale vive un popolo poetico ed appassionato, e per la quale Iddio ha esaurita la sua opulenza di creazione. Chiusa dai mari che, al dire di Shakespeare, la cingono come un diamante in un cerchio di argento, attivata dal sole che ogni giorno la irriga di un lusso di luce, variata di piani e di monti, ricca delle fortune, dei prodotti, delle bellezze di tutte le zone, profumata e voluttuosa come un’odalisca, sempre giovane, sempre nuova, sempre vergine come una Flora, la natura le ha profusi i suoi tesori per compensare forse la missione di vittima che gli uomini o il destino le hanno imposto. Non vi ha zolla di quel paese che sia povera di una memoria: ogni pietra è un monumento della pristina civiltà. I suoi piani, le sue montagne sono contrassegnate da grandi o atroci fatti, assistettero alla ruina od alla nascita di nuove dominazioni, di nuovi popoli, e nuovo incivilimento. Le più speciose evoluzioni