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capitano della gendarmeria. Il governo, veduto l’incendio e imminente ed inevitabile, volle dare almeno la direzione del movimento ad uomini da lui provati per lunga esperienza; e la sollevazione non ebbe più per iscopo di rovesciare un potere improbo ed infedele, ma di far manifestare i generosi che lo combattevano. Giovanni Cozzoli da Molfetta, che nobilmente e coscienziosamente agiva, con i prodotti del contrabando aveva fatti armamenti imponenti. Fucili in grandissima copia, cannoni, munizioni, provvigioni d’ogni maniera, nulla aveva obliato per dare alla dichiarazione delle ostilità quella grandezza e quella fede, che debbe trovarsi nella collera di un popolo oltraggiato che domanda ragione del torto, e lo vendica. Una parte di artiglieria fu offerta e mandata a Potenza: munizioni e fucili erano pronti. Più migliaia di uomini delle provincie di Bari e di Lecce stavano sulle mosse. Da quelle di Basilicata e di Salerno già forti drappelli di guardia nazionale recavansi a Potenza, perché molti bravi avevan preso le cose sul serio. Un battaglione di cacciatori, che era nella città, fraternizzava col popolo. Diecissette sotto uffiziali avevan segnata con entusiasmo la nobile professione di fede scritta da Eugenio Quercia, e si erano messi a disposizione del Comitato. Parte di questi disgraziati furono poscia fucilati a Nocera, parte emigrarono. I paesi albanesi ardevano: altri paeselli, i più miseri e dimenticati della provincia, facevano sforzi miracolosi. A proprie spese si armavano, si provvedevano di viveri per un mese, e si mettevano in marcia i primi. Ah! perché la tristizia dei tempi non mi permette di registrare qui i nomi di tutte le anime nobili, che in quei giorni febbrili tanto bene meritarono della patria! Se cedessi