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pitale, tenuta alla musoliera da molte migliaia di soldati, si rivolse alla Basilicata.

Questa provincia torpida ed infingarda aveva adesso risposto risolutamente. Ed è d’uopo dirlo: essa avrebbe forse salvate le sorti del paese, se un ribaldo non si fosse costituito presidente del Comitato. Un tal Vincenzo d’Errico, uomo nella vita pubblica vassallo e claqueur di tutti i poteri, vendette la rivoluzione e la fece abortire. La Basilicata è centro di molte provincie: montuosa, inaccessibile, di tutto provveduta, avrebbe potuto lungamente resistere, e prestarsi ad una guerra sicura, alla guerra mortale di Garibaldi. Le provincie che l’attorniano tutte in rivolta, avevano mandati delegati per organizzare insieme una tal guerra, e spingerla in comune. Un simulacro di parlamento fu riunito: le condizioni del paese ponderatamente esaminate. Nessuno dei torti del governo dimenticossi, nessuno se ne perdonò. Il delitto di aver uccisa la sovranità nazionale fu constatato. La conseguenza logica, legittima, legale di quell’atto di accusa sarebbe stato dichiarare la decadenza di re Ferdinando. La risposta al colpo di stato consumato dalla corte era ordinare la leva in massa, e marciar sopra Napoli, che avidamente fissava gli occhi sulle provincie e sperava di là il suo Messia. Non fu fatto nulla di ciò. Si scrisse un memorandum in cui tutte le scelleratezze si domandavano espiate dal nuovo ministero, e tutti i voti si concentravano a vederlo sostituito da un altro più liberale: si domandava l’attuazione del programma del ministero Troya; e si proclamava illegale lo scioglimento della Camera. Con un proclama si ordinava poi alle guardie nazionali di prendere le armi e prov-