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di sangue, quello stato indefinibile infine di una città fulminata dall’ira dell’uomo, più raccapriccevole dell’ira della natura corrucciata, quell’atmosfera insomma di morte e di orgia, accrescevano l’orrore della situazione. — I soldati giunsero infine innanzi le porte dell’assemblea. Erano gli svizzeri ed i soldati della marina. Tinti di sangue, brutti di sudore, di fumo, di vino, convulsi di ferocia e di entusiasmo, essi avrebbero voluto consumare intero il delitto e suggellarlo sull’assemblea. Gli uffiziali, che altro ordine avevano ricevuto dalla corte, nol permisero. Perciò un capitano svizzero, con la spada sfoderata, si presentò nella Camera, e senza salutarla, senza scovrirsi il capo, brutalmente disse: "in nome del re, che vi fa salva la vita, ritiratevi". Nessuno rispose: niun atto di commozione tradì la passione interiore da cui ciascuno era travagliato. Si uscì dalla sala, ed a gruppi a gruppi, accompagnati dalla gendarmeria, per isfuggire alle violenze dei soldati e della plebaglia, perseguitati dai gridi di viva il re, abbasso la costituzione, guadagnò ciascuno il domicilio che credette più sicuro. — La notte intanto non pose termine alla strage. Al lume dei portoni, delle case e delle barricate che ardevano, gavazzavano plebe e soldati. Quivi trascinavansi le vittime che andavansi scovando per le case, e parte sgozzavansi, parte inviavansi alle prigioni, spogliavansi e svillaneggiavansi tutti. Quivi si portavano le prede che facevansi ovunque; e quelle prede dividevansi se ricche, o donavansi ai più poveri plebei se di poco pregio. Quivi si cioncava, si mangiava. Un abito di guardia nazionale, un moschetto, un foglio del Mondo vecchio e Mondo nuovo, o i peli sul volto, bastavano per far condannare un