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non erano ancora arrivati. Delle voci sinistre correvano intorno. Si parlava di sollevazione di plebe nei quartieri da essa abitati: si parlava della determinazione di attacco e di difesa delle barricate e degli sforzi inutili ripetuti dalla guardia nazionale per isbarazzarne le strade. Si diceva che grossi corpi di truppa si schieravano sulla piazza della Reggia; che gli svizzeri stavano sotto le armi nelle corti dei quartieri; che le strade ferrate tenevansi dalla soldatesca. Una commissione fu mandata al ministero per sapere se si era pronti di andare alla chiesa; un’altra alla corte. Questa non tornò più. Il ministero era alla Reggia e si dibatteva col re, e fiere parole e severi rimproveri si rimbeccavano. Qualcuno giunse perfino a dirgli: ho onta di avervi servito. Ma il dado era tratto: l’ora di alzare la tela era giunta. Dieci ore passate, i deputati Ricciardi e Stefano Romeo proposero che la Camera si dichiarasse costituente e costituita, e principiasse a deliberare. Carducci domandò per la seconda volta di mandarsi a chiamare la guardia nazionale della provincia di Salerno, onde affidarle la custodia dell’assemblea. Un altro deputato parlò di governo provvisorio, e Zuppetta fece proposizioni anche più energiche. Ma l’assemblea distratta, tumultuosa, in piedi, senza scopo determinato, da mille dubbi agitata, riscaldata da passioni varie, nulla intese, nulla accolse, nulla volle fare, nulla votò. Era un convocio sformato e incomprensibile, un agitarsi vertiginoso, tempesta subita ci coglieva senza timonieri e senza ordigni. In mezzo a questo chiasso un uomo s’introduce nella Camera, il capitano delle guardie nazionali La Cecilia, ed annunzia che nella piazza della Reggia la battaglia tra soldati e popolo erasi impegnata.