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nali della corte, quando la fermezza della Camera rese impossibile o troppo pericoloso il giuramento, dalla corte furono pagate e fatte drizzare. Nell’aulico consiglio di un re, che si confessa e si comunica tutte le mattine, erasi risoluto distruggere di un colpo solo quanto il paese aveva di più libero e di più eminente. — Perciò dei messi avvertirono i corpi di truppa, acquartierati nelle vicinanze della città, tenersi pronti sotto le armi, ed al primo segnale telegrafico, occupare le strade di ferro, e marciar sopra Napoli. Perciò un plico suggellato era inviato al general Roberti, comandante del castello Sant’Eramo che domina la città, con ordine di non aprirlo, se non quando una bandiera rossa innalzata sul reale palazzo gliene avesse dato il segnale. Perciò quantunque le barricate non avessero più ragione di essere, furono mantenute, anzi fu dato ordine d’indebolirle e moltiplicarle. Perciò gli uffiziali superiori della guardia nazionale, quando si ebbe uopo di loro, o non si trovarono più o si rifugiarono nella Reggia. Quante perfidie, quante viltà, quanti delitti non si commisero in quella notte e nel fatale domani!

30. A nove ore del dì 15 maggio i rappresentanti cominciarono a riunirsi nel palazzo della città. Il loro aspetto era conturbato, presagivano qualche cosa di funesto. Nel dì precedente non vi era stata distinzione di destra e di sinistra. Una frase più o meno ardita, un proposito più o meno fiero, un consiglio più o meno temperato, aveva unicamente dato una gradazione di tinte al consesso. Quella mattina i più moderati si unirono da un lato, giunsero più tardi e più abbattuti nel viso, e parecchi a dieci ore, l’ora assegnata alla cerimonia,