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dignati. Ruggiero intanto aveva capito che la camera osteggiava pronunziatamente la corte e sosteneva il ministero Troya, già in modo supremo inviso al re. Fece il suo rapporto. Le promesse del portafogli gli furono confermate, e gli fu ingiunto di continuare a rappresentare la sua parte, vedere, provocare le dichiarazioni di tutti, notare, spingere, lottare, onde finirla una volta, per una maniera qualunque. Con queste istruzioni venne alla camera: con questi principii si avvicinò poi ai costruttori di barricate per animarli. La sera del 13 maggio il ministero pubblicò il programma delle cerimonie con cui il giorno 15 il Parlamento dovevasi aprire. Il dì 14 i rappresentanti stimarono opportuno riunirsi nel palazzo della città per discuterlo. In esso dicevasi che i deputati, prima di recarsi alla Camera, sarebbonsi recati alla chiesa, onde in presenza del re, dello stato maggiore, dei pari ed altri funzionarii pubblici, prestar giuramento alla fede cattolica, al re ed allo Statuto del 10 febbraio. Questa trista fatalità della religione di mischiarsi in tutto, anche nelle cose le più incompatibili alla sua natura, questa necessità ostinata dell’ab Jove principium dispiacque a molti. Moltissimi poi trovarono inconseguente il giuramento, perchè non potevasi prestare a cosa che non esisteva ancora. Il programma del 5 aprile aveva sanzionato che la rappresentanza nazionale avrebbe svolto lo Statuto. Le elezioni erano state compiute sotto questa influenza, con questo mandato. Il ministero fu biasimato per aver condisceso a tali desiderii del re: ed una commissione andò a notificargli nel tempo stesso ed il biasimo ed il rifiuto del giuramento. Ferdinando ne gongolò di gioia ed ostinossi nella formalità: i preti sussurrarono i