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degli ordini, il suo portamento e le sue fattezze borghesi, le quali non lasciano alcuna probabilità al successo neppur delle sue cortesie, delle sue piaggerie verso coloro che vuole rabbonire, inzuccherare, amadouer! Si aggiunga la sua parola spezzata ed imbarazzata; la sua voce acre e metallica che male affetta la prima volta; il suo gesto petulante, brusco, saccadè, e voi completerete l’uomo, il quale vi attira poco, quando non gli siete legato per altri vincoli.
Il conte di Cavour si tiene in Parlamento assolutamente come se la sinistra non esistesse, come se egli fosse nel suo salone, in mezzo dei suoi famigliari — sopratutto quando si annoja. Egli parla, egli ride, egli petulantemente volta le spalle ai suoi colleghi, egli si accoccola, sbadiglia, tormenta il velluto della tavola con il suo tagliacarte, fa degli epigrammi;.... se avesse le abitudini americane, metterebbe i piedi sul bureau! Egli non vede là che la maggioranza, vale a dire, degli amici fedeli — dei confidenti.
Il conte di Cavour non è un oratore nel senso francese, egli lo è piuttosto nel senso inglese. Egli ha la parola difficile, perocchè e’ non vuol dire una parola di troppo, una parola la quale non abbia la portata ch’egli vuol darle. Egli non parla per la Camera, ma per l’Europa. Egli ha un ragionamento serrato, sostanziale, lucido; tocca il cuore della quistione; e se non ha sempre ragione, egli non cade mai nella trivialità e nei nonsensi.
Conchiudo. Il diplomatico è un gigante; l’am-