libertà, combattute nei due mondi, il generale Avezzana. Nè aver parlato del bravo ex parroco di Sorrento, canonico Maresca, all’aspetto, ai modi, alla riserva, al parlar untuoso, alla pinguedine, alla placidezza vescovile. Nè aver segnalato il Brioschi, segretario generale dell’istruzione pubblica, mente capace, amministrativa, ma senza audacia. Nè aver toccato del San Donato, oratore aggressivo e pittoresco, uno dei paladini del terzo partito. Nè del conte Borromeo — Minghetti in scorcio — il quale ha di futuro ministro l’incesso e la speranza. Nè del distintissimo giovane Pietro Mazza, spirito arguto, parola facile, intelligenza viva ed ornata; nè dell’Ugoni, nè del Trezzi, nè di Ara, nè del Monticelli, nè del Tonello, nè del Sanna-Sanna, che non ha guari così elegantemente e profondamente discorreva della sua Sardegna; nè del Plutino, che parla una lingua impossibile, con un accento impossibile, ma che fissa spesso l’attenzione della Camera sulle cose che dice; carattere insaissiable, che fa delle evoluzioni da beduino, che non si sa mai se è contro o in favore di un Ministero, ma che è sempre un campione ad oltranza degli interessi della Calabria. Credo pure di avere obliato il Lissoni, il Fiorenzi, il Silvestrelli, che in mezzo a noi è l’immagine di Roma che protesta e dice: anch’io vi sono! — il Luzzi, ardente mostra del carattere marchegiano, brusco, audace, positivo. Se ne ho già parlato, ricordo tre distintissimi giureconsulti della Camera, Mari, Regnoli e Panattoni, che non mancano mai al loro compito, e