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Affondando il vostro sguardo nei banchi dell’estrema sinistra, tra Saffi e Miceli — un altro dei mille di Marsala — voi siete colpiti dall’espressione singolare di una testa giallognola, a capelli neri, agli occhi fiammanti. Quegli è Bertani. Al naso aquilino, alla figura fina, acuta, tagliata a lama di spada, al fronte alto, ondulato da piccole rughe, come il mare qualche minuti avanti la tempesta, agli occhi viperini e concentrati, voi indovinate l’uragano eterno, come quello dei mari polari, che rugge nel suo petto, che si ammoncella nel suo cervello. La sua tinta biliosa denuncia le sue forti passioni; il suo sguardo fisso e magnetico domina e fa paura. Voi conoscete la parte immensa che ha rappresentata Bertani in tutta l’epopea garibaldina. Egli fu all’altezza di questa parte; ha viste larghe e lontane — avvegnachè meno radicali, che le si potriano per avventura supporre. Parla bene, mira giusto, colpisce a morte, non perde mai la staffa nè il contegno. Asperge di acido solforico, e par gittare foglie di rose ed acqua lustrale! Fu Bertani che tirò dalle viscere d’Italia quell’esercito meridionale che si mostrò, conquise due regni, e disparve come un fantasma — armata fantastica, armata da poema! È Bertani che la prepara di nuovo con i Comitati di Provvedimento, e la creerà di nuovo, se occorre, e quando occorre. Volontà fulminante che nulla ritiene, nulla sgomenta. Bertani è il solo il quale abbia potuto affascinar Garibaldi, spingerlo avanti — o ritenerlo. Egli ha la fibra di Saint-Just. È, politicamente, ciò che Sirtori è militarmente.