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affannosi, dando l’affanno, vespe che ronzano intorno ai banchi ministeriali; passiamo su Spaventa, impotenza incorreggibile, fiele che intossica quantunque tocca, frantume astioso dei naufraghi napoletani; grand’uomo che non parla, che non scrive, che non pensa, che tutto dissimula per un sorriso d’importanza.... prætereaque nihil! passiamo.... ed arrestiamoci per un momento a quel signore fulvo, smilzo, allo sguardo inquieto, che percorre la sala tutta dall’alto del suo banco, a fianco del presidente. È il conte Chiavarina, il questore, il di cui rigore cortese e a lunga silhouette ghiaccia l’inchiostro nella penna dei giornalisti e la parola sulle labbra dei deputati nuovi — sì che sarebbero per dargli dell’Eccellenza. Passiamo, perchè abbiamo fretta, su Cavallini, segretario perpetuo di tutte le nostre assemblee, da dodici a quattordici anni; sul questore conte Cantelli, che ha lasciato gran memoria di sè nel suo corto passaggio alla luogotenenza di Napoli, uomo colto, cortese, molto addentro nelle cose di pubblica amministrazione; e sul bravo generale Pettinengo, il quale salì cinque volte all’assalto delle alture di S. Martino, e che viene alla carica contro la sinistra, come se fossero i suoi croati del 1859, ogni qual volta questa si mischi degli affari del ministero della guerra. Il Pettinengo fe’ bella prova in Sicilia, dove assistè all’agonia dell’autonomia di questa provincia, e ne partì festeggiato.

Ma come lasciar ancora qui nell’ombra questo severo general logico, cui si tiene da un anno in