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della casa di Borbone, lo lasciò solo, senza consigli, senza direzione, e Mario-Farini ritornò, dopo due mesi di dittatura, non per uccidersi come il vincitore dei Cimbri, ma per purgarsi nella sua bella villa di Saluggia. Il signor Farini sarà ministro di nuovo, e ciò forse fra non guari, e ciò non senza utile. Perocchè Farini, malgrado il suo incomparabile fiasco di Napoli — dove ha lasciato memoria d’implacabile rancore, Farini, dico, possiede abilità incontrastabile. Egli ha idee, coraggio, iniziativa, colpo d’occhio, spirito svelto e non inceppato da precedenti o da convinzioni intangibili, e sopra tutto attività — se la malattia non lo ha rotto, come si buccina. Se Farini disdegna comandare la falange della destra, gli è per negghianza. E di quinci l’importanza di Lanza.

Il signor Giovanni Lanza ha lasciato, come Presidente della Camera Piemontese, legato di odio alla sinistra, che lo addimandava un gendarme, perchè toglieva inesorabilmente la parola ai membri di questa parte dell’assemblea. Senza averne ben l’aria, il signor Lanza è intollerante come un cattolico. La sua presidenza della destra è inesplicabile; perocchè nulla in lui rivela la supremazia, nè l’abbondanza e novità delle idee, nè l’acuzia e la prontezza dell’intelletto, nè il prestigio della parola, nè la facilità di riassumere avec bonheur una discussione, una situazione, nè l’ascendenza, brillante di una superiorità incontestata. Uomo mediocre, pedante, a vista fosca, senza tatto politico, chiuso nella cerchia della Dora e del Po, non sa armeggiare, non ha sangue freddo, non