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nato nelle sue convinzioni ed ambiziosissimo. Si che, per restar ministro, transigerebbe su parecchi dettagli, e poco curerebbe di aver questi o quegli a compagno. Lo si dice invasore su i dritti dei suoi colleghi, e non risparmiando loro ogni specie d’epigrammi. Tutto ciò ci commuove poco: bazza a chi tocca! — come non ci risguardano le sue doti ed i suoi difetti come uomo privato. Noi, che abbiam vissuto in Francia lungamente, non siam mica troppo pettegoli sul sibaritismo. Ciò che dobbiamo constatare è l’incredibile facilità di favella e di memoria del signor Cordova. Egli è un jenny mull a parole. E parla con tale velocità, con tanto seguito, che sveglia nella nostra sala di legno e cartone una specie d’eco dispiacevole. I discorsi di Cordova sono pieni di vita, di brio, di movimento. Egli cita talvolta di traverso, sconvolge i fatti e li travisa, giuoca di antitesi, di metafora, di paradosso ed abbarbaglia come un giuocatore di bossoli. Sembra un fenomeno. E dopo di averlo udito, si resta stupefatto, stanco, abbarbagliato, attonito: il capo gira, si vede innanzi agli occhi un incrociamento di mille razzi di tutti i colori, ma non si rimane punto convinti. Cordova è un eccellente acquisto in un Ministero, ma non so se sia un eccellente ministro. Egli ha troppe passioni, ed impressioni troppo vive. Ora occupa il portafogli dell’agricoltura e del commercio, portafogli di un’inutilità magnifica, ma creato appositamente onde lusingare, nei loro uomini, le provincie meridionali. L’è la scuola normale ove si formano le capacità ministeriali. Per il momento,