risultati complessi che presenterà al rendiconto saranno significanti. Egli ha voluto, e ciò è bastato. E, cosa stranissima, egli ha voluto senza avere preventivamente che un’idea vaga, incognita, qualche cosa di vaporoso e d’ideale, che spuntava lontano lontano nell’orizzonte della sua anima, ma ha voluto; e questo spettro si è condensato ed ha preso, sotto l’azione della sua volontà, la forma che chiamasi Italia una. L’organismo che ha dato a questo corpo sarà bene o male — ma l’è un organismo. Egli prese al capezzale di Cavour un embrione; uscendo dal potere, consegnerà nelle mani del suo successore un’Italia formata, composta. Si dovrà cangiare questo o quel pezzo dell’armatura; ma l’armatura è fatta. Il barone Ricasoli soccomberà senza dubbio, e fra non guari, a qualche colpo di Palazzo o a qualche colpo di maggioranza. Ma la sua scomparsa sarà corta. Egli ritornerà invocato come una necessità, come la coscienza d’Italia, quando i governi d’intrighi municipali, che gli terranno dietro, avranno meglio manifestato la natura del suo carattere. Ed aggiungasi ciò, che egli è essenzialmente progressista dicasi per ambizione o per dispetto, non importa — ma il barone, lo più feudale dei baroni, si eleverebbe alla concezione per fino della republica — se ciò fosse nei destini d’Italia. L’idea della legalità predomina sui suoi concetti — e dove la fosse violata, ed ei ne comprendesse la violenza, il ministro avrebbe l’animo di farsi tribuno. Tra lui e l’Italia vi è armonia d’anima. Armonia che diventerà altrettanto più magnetica se nell’interregno che gli farà il