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l’opera dell’unificazione interna. In faccia alla Francia ha tenuti alto i diritti d’Italia. Alla fazione piemontese ha resistito — ma meglio sarebbe riescito se l’avesse combattuta, non con la fazione toscana sola, ma con gli uomini presi a tutte le provincie italiane. Le cabale, gl’intrighi, le coalizioni, i connubi, i verdetti della maggioranza, le suggestioni perfide di perfidi amici, la pressione straniera, la malcelata antipatia della corte, le cospirazioni subdole dei suoi stessi colleghi, gli attacchi aperti della sinistra del Parlamento, tutto un mondo di mezzi occulti che si sono fatti giuocare, tutto si è rotto contro la forza, non dirò tanto della volontà, ma della caparbietà di quest’uomo. Fatalista, egli ha resistilo, restando inerte come uno di quei scogli della Manica, sulle coste della Bretagna e della Normandia, a cui i più spaventevoli marosi che han corso gli oceani vengono a rompersi e sfasciarsi in bricciole di schiuma. Egli ha detto: io sto! e tutti han rinculato, diffidando di sè e della fortuna. E nondimeno, non vi è stato ministro che avesse commessi più errori amministrativi e che avesse meglio prestato la fronte ed il fianco agli attacchi. Caetterra più che ingegno, mal congegnato alle bisogne burocratiche ed alla vasta sintesi, egli ha vinto gli ostacoli a forza di pertinacia, ed ha usufruito il lavoro del tempo. Un ministro d’affari avrebbe fatto da sè in un mese ciò che il barone ha lasciato fare al tempo, agli avvenimenti, alla natura delle cose, agl’interessi ed alla necessità della situazione, in otto mesi, in un anno. Però i