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Il marchese Pepoli cova con amore il portafoglio delle finanze del Regno d’Italia, ed avrebbe finito per ottenerlo anche col conte di Cavour, il quale non era al postutto un diavolo così tristo e così intrattabile come lo si avrebbe voluto far credere. Pepoli professa oggi dei principii che lambiscono quasi il radicale, come tutti i pretendenti. Ma, nel fondo, è egli forse così sensatamente conservatore come Ratazzi e Cavour. La mercanzia dei tre è la stessa; la bandiera che la copre spiega colori più o meno brillanti. Questa è del resto la storia di tutti i Governi parlamentari — dir rosso quando si aspira, e bianco quando si è arrivati.
Il marchese Pepoli si è mostrato oratore in tre o quattro discorsi capitali che ha pronunziati al Parlamento — senza spanto inutile, ma sobrio, sodo, autorevole, pieno di fatti e sempre liberale. Certo egli sa fare manovrare le cifre con rara intelligenza, a giudicarlo dai parlari e dagli articoli di giornali che vengongli attribuiti. Ma egli non sembrami di una tempra bene aggressiva — neppur provocato. Non lo si direbbe, su questo rapporto, il nipote del re Murat.
Gli affigliati principali del terzo partito sono il signor Capriolo, segretario di Ratazzi, quasi suo aiutante di campo, spirito colto, ma senza audacia, molto addentro in cose amministrative, ma allacciato dalla rutina, tenero dell’egemonia piemontese, ma onesto e leale; buono ed aggiustato parlatore. Egli è l’espressione repressa del presidente del Consiglio. Segue Berti-Pichat, uno dei veterani della stampa e dei liberali d’Italia, democra-