Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 108 — |
analisi più che di sintesi. Egli è, come ho detto, amministratore più capace che audace, volendo la costituzione in certi limiti, non troppo radicali, l’Italia nei suoi confini naturali, una libertà ben ordinata e regolata, un’autorità forte, ma non troppo centralizzata. Egli tiensi, in una parola, due passi innanzi di Ratazzi, uno indietro a Pepoli — il quarto capo della quarta gradazione di tinta del terzo partito. Ed io vi dico capi, perchè li si credono tali, avvegnacchè io mi conosca nella Camera più di un onorevole, il quale parla dei suoi, e nondimeno io non mi abbia mai veduto ombra di questi suoi. Poerio per esempio!
Il marchese Gioachino Pepoli fece la sua apparizione nel mondo politico con un buon libro sulle finanze del Governo pontificio — un colpo di fulmine che gittò la dirotta e lo scompiglio nella consorteria del cardinale Antonelli. Pepoli fu quindi membro della Costituente delle Romagne; poi ministro delle finanze dell’Emilia, quindi commissario regio nell’Umbria, ove spiegò un vero ingegno amministrativo. Egli è stato il solo in mezzo a quel nugolo di luogotenenti, prodittatori, dittatori, consiglieri, governatori e segretari generali spediti nelle provincie conquistate, annesse o datesi, il solissimo che siasi davvero rivelato. Egli è stato il solo che abbia fatto qualche cosa, e sopra tutto fatto a proposito. Se avessero operato altrettanto in Sicilia ed a Napoli, non si avrebbero adesso a deplorare quegli stiracchiamenti, quei sobbalzi, quegli espedienti infelici che danno il mal di mare a quelle provincie.