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     Alcun giogo men grave.
Et se pur s’arma talhor a dolersi
     L’anima; a cui vien manco
     Consiglio, ove’l martir l’adduce in forse;
     Rappella lei da la sfrenata voglia
     Subito vista; che del cor mi rade
     Ogni delira impresa, et ogni sdegno
     Fal veder lei soave.
Di quanto per amor giamai soffersi,
     Et haggio a soffrir ancho
     Fin che mi sani’l cor colei chel morse
     Rubella di merce, che pur le’nvoglia;
     Vendette fia; sol che contra humiltade
     Orgoglio et ira il bel passo, ond’io vegno,
     Non chiuda et non inchiave.
Ma l’hora e’l giorno; ch’io le luci apersi
     Nel bel nero et nel bianco
     Che mi scacciar di la, dove amor corse;
     Novella d’esta vita, che m’addoglia,
     Furon radice, et quella, in cui l’etade
     Nostra si mira; la qual piombo, o legno
     Vedendo è chi non pave.
Lagrima ’ dunque; che da gliocchi versi’
     Per quelle, che nel manco
     Lato mi bagna, chi primier s’accorse,
     Quadrella; dal voler mio non mi suoglia
     Che’n giusta parte la sententia cade:
     Per lei sospira l’alma; et ella è degno,
     Che le sue piaghe lave.