Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
In fin allhor percossa di suo strale
Non essermi passato oltra la gonna,
Prese in sua scorta una possente donna;
Ver cui poco giamai mi valse, o vale
Ingegno, o forza, o dimandar perdono.
E i duo mi trasformaro in quel, ch’i sono,
Facendomi d’huom vivo un lauro verde;
Che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec’io, quando primier m’accorsi
De la trasfigurata mia persona;
E i capei vidi far di quella fronde,
Di che sperato havea gia lor corona,
E i piedi, in ch’io mi stetti et mossi et corsi,
Com’ogni membro al’anima risponde,
Diventar due radici sovra l’onde
Non di Peneo, ma d’un piu altero fiume;
E’n duo rami mutarsi ambe le braccia:
Ne meno anchor m’agghiaccia
L’esser coverto poi di bianche piume
Allhor; che fulminato et morto giacque
il mio sperar, che troppo alto montava.
Che perch’io non sapea dove, ne quando
Mel ritrovasse; solo lagrimando,
La’ve tolto mi fu, di et notte andava
Ricercando dal lato et dentro a lacque:
Et giamai poi la mia lingua non tacque,
Mentre poteo, del suo cader maligno:
Ond’io presi col suon color d’un cigno.
Cosi lungo l’amate rive andai;