Pagina:Petrarca - Le cose volgari, Aldo, 1501.djvu/23

     Per che cantando il duol si disacerba;
     cantero, com’io vissi in libertade,
     Mentre amor nel mio albergo a sdegno s’hebbe:
     Poi seguiro, si come a lui n’encrebbe
     Troppo altamente; et che di cio m’avenne:
     Di ch’io son fatto a molta gente exempio:
     Ben che’l mio duro scempio
     Sia scritto altrove si; che mille penne
     Ne son gia stanche, et quasi in ogni valle
     Rimbombi’l suon de miei gravi sospiri,
     Ch’acquistan fede a la penosa vita:
     Et se qui la memoria non m’aita,
     Come suol fare; iscusilla i martiri,
     Et un penser, che solo angoscia dalle,
     Tal; ch’ad ogni altro fa voltar le spalle,
     Et mi face obliar me stesso a forza:
     Che ten di me quel dentro, et io la scorza.
I dico; che dal di, che’l primo assalto
     Mi diede amor, molt’anni eran passati;
     Si ch’io cangiava il giovenile aspetto;
     Et dintorno al mio cor pensier gelati
     Fatto havean quasi adamantino smalto,
     Ch’allentar non lassava il duro affetto:
     Lagrima anchor non mi bagnava il petto,
     Ne rompea il sonno; et quel, che in me non era,
     Mi pareva un miracolo in altrui.
     Lasso che son? che fui?
     La vita al fin, e’l di loda la fera.
     Che sentendo il crudel, di ch’io ragiono,