conto dell’approvazione di chi ascolta, pure a che montano gli evviva strepitosi del volgo, quando l’oratore sappia di non meritarli? E potrà egli piacere altrui, quando prima a sè stesso non piaccia? E dappoichè non una sola volta t’avvenne che la sperata lode dell’eloquenza ti sfuggisse di mano, ti è agevole ad argomentare per che meschina gloria tanto ti rigonfiassi. E può darsi mai cosa più fanciullesca, anzi più stolta, che sprecare il tempo dietro inutili ciance, frattantochè si trascura e lascia da parte quello che maggiormente importa? Così intenti a dilettarci in oziosi discorsi, chiudiamo gli occhi ai proprii difetti, a sembianza degli uscignuoli, i quali, come dicono, presi alla dolcezza di loro voce, cantano sino a scoppiarne. Che se anche negli usi più giornalieri e volgari della vita avesti sovente cagione d'arrossire, perchè, mentre stimavi che fossero indegni del tuo discorso,
pure non ti venne fatto di farne menzione debitamente a parole; quante altre cose v’hanno nella natura, che mancano sino delle voci proprie con che essere chiamate! E pognamo che queste voci, a distinguerle le une dalle altre, sussistano; non però la umana eloquenza giungerà mai a tutta esprimerne la dignità: del che ben devi essere persuaso, senza bisogno di ricorrere a prove. Quante fiate non udii te stesso