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Ed io guardo al mio fine con incerto cuore, e niuna gioia assaporo, che non mi giunga aspersa di amarezza.

A. — Non volerti affligere di ciò che ti dee consolare; dappoichè quanto maggiore è la voluttuosa dilettazione che risente il peccatore delle sue colpe, e tanto più terribile e miseranda deve stimarsi la sua sventura.

P. — E forse ciò avviene perchè non torna più sul cammino di virtù chi immemore di sè, lasciasi travolgere da un torrente di perpetui godimenti. Ma l’uomo, che tra le mollezze del vivere e gli allettamenti della fortuna è provato da qualche duro caso, tante volte si richiama alla sua condizione, quante è abbandonato dai suoi precipitosi ed improvvidi piaceri. E d’altra parte, io non so se di due uomini, chiamati ad un egual fine, si deggia stimar più felice l’uno che, godendo adesso, sarà martoriato nell'avvenire, o non piuttosto l'altro, che nè s’allegra dei beni presenti, nè se ne ripromette di futuri. E ben sai che, in sul confine della vita, il riso è più amaro del pianto.

A. — Ma tu certo non rifletti che, ove uno si sottragga al freno della ragione, da cui si svincola chi si dà in braccio alla suprema voluttà, precipita più al profondo dell'altro che, pur caduto, qualche poco vi sta soggetto. Ove pertanto ripensi a ciò che prima ti dissi, vedrai che della salute di