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mi qualche altra cosa: orsù parlami liberamente.

P. — Io di null’altro forte mi maraviglio, che di aver voluto sin qui quello che sempre mi credeva di non aver voluto.

A. — Ma tu te ne stai ancora intra due; se non che per finirla una volta, non ti negherò che talora tu pure hai voluto.

P. — Che dicesti?

A. — Non ti ricordi il verso d’Ovidio:

Poco all’opra è il voler, che sol perfetto
Allor sarà, se il fin bramato aggiunga.

P. — Mai sì; ed io mi stimava anche di aver desiderato.

A. — T'ingannavi.

P. — Tel consento.

A. — Ma, a rendertene viemaggiormente convinto, interroga la tua coscienza. Essa, egregia interprete della virtù, infallibile non meno che verace e retta estimatrice delle opere e dei pensieri, ti dirà siccome non t’adoperassi mai col debito zelo a conseguir la salute, ma con troppo più di torpore e lentezza, che non richiedevano le pericolose condizioni in cui tu versavi.

P. - Ho, come ingiungi, disaminata la mia coscienza.

A. — E che ti risponde?

P. - Vere essere le cose che dici.

A. - Ove tu cominci a ridestarti, profitteremo non poco. Non v’ha nulla che più